Calano le luci. Si spengono i riflettori. Della finale rimangono i segni dei festeggiamenti.
Qualche coriandolo. I bicchieri del brindisi. Una giacca dimenticata sbadatamente su una sedia. Un foglio stropicciato. Il discorso della finale. Ripetuto per l’ennesima volta a distanza di pochi secondi dal pitch. Per ogni evenienza. Per scaramanzia. Per fugare ogni dubbio sulla preparazione, sulla buona riuscita di quella serata. Un amuleto, una protezione contro chissà quale male. Un incoraggiamento.
Rimangono pochi simboli in quella sala vuota. Gli oggetti più piccoli. Le metafore di una serata, di un percorso, di ciò che è stato. Le persone conosciute, i luoghi abitati, le amicizie, le belle emozioni, le sconfitte, le rivincite. Le infinite possibilità della vita divenute atto, azione. Le opportunità concretizzate. Le occasioni perdute. Le strade intraprese. Le scelte.
Difficile dire cosa accadrà dopo. Quale sia il futuro. Domani.
Le voci di chi ha vinto sono lontane. Suonano flebili. Si mischiano altrove al brusio dei festeggiamenti, all’esultanza del pubblico, dei parenti, degli amici. Di quel pubblico che ha gioito delle vittorie altrui come se fossero le sue.
Questo è il potere della parola. È il fascino delle storie. Chi parlava per sé raccontava i vissuti di un gruppo, di un’idea di impresa, delle speranze riposte nella ricerca e nello sviluppo del territorio, del desiderio di fare la differenza contribuendo alla crescita di un luogo che è casa, da sempre, o almeno lo è diventato nel tempo per scelta.
Difficile non immedesimarsi.
Il Teatro è vuoto dopo la finale. Luci spente. Silenzio. Coriandoli a terra. I bicchieri abbandonati sul palco. Quel foglio stropicciato. Gli indizi di una serata trascorsa, accaduta, chiusa, passata, che abbandona la scena per fare spazio ad altro.
Un divenire ancora da scrivere. Infiniti mondi da esplorare. Possibilità da tracciare. Occasioni da cogliere. Per fissare il futuro e iniziare a costruirlo.
A partire da domani.