Emma è in attesa del suo turno. Proprio lei. Scelta per rappresentare Regenfix. Un compito importante. Una questione di fiducia, l’esito di un patto di alleanza stretto all’inizio, quando i destini del gruppo si sono incrociati e ciascuno ha deciso di scommettere nella stessa sfida. Il gruppo ha reso unico il risultato. La finale, l’obiettivo agognato non sarebbe arrivato senza l’unione di intenti, le notti insonni trascorse insieme alla vigilia delle consegne più importanti.

In base ai mezzi e alle possibilità di ciascuno tutti hanno donato un pezzo di sé. Ingegno, disponibilità, comprensione, empatia, forza inesauribile. E poi c’è stato il tempo, quello speso nella causa comune e quello che sembra essere trascorso troppo in fretta e troppo lentamente allo stesso tempo. Volgere lo sguardo ai mesi passati dà coraggio, mostra la maturazione di un’idea, la crescita delle persone che l’hanno promossa. Svela un segreto. Dietro ad ogni ricerca scientifica, al progresso, all’accrescimento della conoscenza si nascondono i vissuti quotidiani. Solo così scienza e ricerca sono parole piene di significato.

I secondi stanno per esaurirsi. Emma è pronta a fare il suo ingresso. Il gruppo è stato tutto, ma ora è lei a rappresentare tutto per il gruppo. A testimoniare l’importanza del contributo individuale che spicca nel team e non si confonde con esso, anzi lo esprime nella sua pienezza. Una grande responsabilità. Ma tutto sommato un gesto di stima, l’affetto e la fiducia da parte di chi l’ha scelta, i suoi compagni, Andrea, Alessia, Michele.
Un applauso la accompagna verso il palco. Emma porta con sé l’entusiasmo che viene dal backstage.

Il Teatro di viale Trento è la piazza del suo intervento. La scienza può essere raccontata. E il pubblico anche se inesperto è in grado di apprezzare gli argomenti più complessi. Basta poco. Un racconto personale, una cornice amichevole in cui inserire un argomento difficile. La sera della finale Emma parla della sua storia, degli anni universitari trascorsi in laboratorio e delle intuizioni nate in quei luoghi.

Ci sono oggetti di uso quotidiano, come le colonne cromatografiche. Servono per mettere a punto nuove terapie, per sintetizzare nuovi farmaci. Ma dopo ogni utilizzo si sporcano. Trattengono dei contaminanti difficili da eliminare. Alterano i risultati e inoltre compromettono lo stato della colonna che deve essere sostituita. Come ogni oggetto si usurano nel tempo, con grande dispendio per i laboratori costretti all’acquisto frequente di nuovi strumenti.

Ma una soluzione c’è. Perché sostituirle quando invece si potrebbe pensare ad una loro manutenzione costante? I problemi racchiudono in sé le soluzioni, perché “è dall’esigenza di utilizzare al meglio le risorse di un piccolo laboratorio che nasce Regenfix, il primo servizio di rigenerazione al mondo delle colonne cromatografiche, una tecnica innovativa, capace di rimuovere del tutto i contaminanti presenti”.

Regenfix è la startup che innova il modo di fare ricerca. Quella sera Emma lo racconta con grande competenza al pubblico. Traccia il futuro con le sue parole ambiziose e precise. I successi, i risultati si toccano con mano con il trascorrere del tempo. Qualche riconoscimento è arrivato, ma la strada è lunga. Bisogna puntare sempre più in alto. E per vedere un futuro che ancora non c’è, non esiste, non resta che immaginarlo.