Veniamo tacciati di boria e protagonismo quando mostriamo di saper fare qualcosa di fantastico. Chi muove le critiche vorrebbe invitarci alla modestia, all’umiltà delle imprese mai rivendicate.

C’è un pregiudizio nei confronti di chi eccelle. Come se quel traguardo celasse un semplice successo da sbandierare, un attimo di vanagloria per il suo protagonista.

In realtà tagliare il traguardo rappresenta letteralmente l’ultimo passo. Chi scopre di saper fare qualcosa di fantastico spiega invece quanto perseguire l’eccellenza sia un processo di crescita personale. Un lavoro di ricerca di sé che trova nutrimento solo nel rapporto con gli altri.

Superare qualcosa o qualcuno ha sempre un’origine relazionale. Dobbiamo dimostrare chi siamo, cosa siamo in grado di fare, quali promesse siamo in grado di mantenere. Lo facciamo per rispettare un ruolo. Abbiamo un compito e dobbiamo assolverlo al meglio.

Per questo gli altri ci osservano. E per questo noi osserviamo gli altri. C’è una mutua responsabilità nel volgere l’attenzione sulle azioni reciproche. Quello che stiamo facendo potrebbe non essere abbastanza. Potrebbe essere sbagliato. Allora diventa necessario reimpostare il percorso, riprogrammare il tragitto per arrivare alla meta nel migliore dei modi possibili.

Non è per boria, né per protagonismo. Non c’è alcun interesse nel voler fare qualcosa di fantastico. Si tratta di dare il meglio invece, per assolvere un compito affidatoci. È un patto. Una questione d’onore, nel senso più nobile che si possa attribuire al termine. La parola data va sempre rispettata.

E quando promettiamo a qualcuno di farcela, di essere in grado di raggiungere un obiettivo notevole stiamo mettendo alla prova noi stessi per primi.

Determiniamo così chi siamo. Dichiariamo pubblicamente a cosa miriamo, dove siamo diretti. Possiamo farlo solo rispetto a qualcosa. Questo qualcosa è il fitto mondo di relazioni e legami in cui siamo inseriti. Quel mondo di valori che scegliamo per noi. Le azioni che determinano la nostra identità, all’interno di una società.

Se riusciamo a fare qualcosa di fantastico, lo dobbiamo agli altri allora.

Perché il nostro lavoro non sarà mai relegato su una mensola polverosa a memoria di gloriose gesta. Sarà invece per tutti. Spiegherà che tutti possono farcela. Costituirà un esempio di miglioramento, per chiunque voglia andare verso la direzione dell’eccellenza, dell’inarrestabile voglia che muove al cambiamento, alla realizzazione di ciò che vorremmo veramente.